Speciale Mennea: come Nebiolo lo portò alle Olimpiadi di Mosca ‘80 

Il 21 marzo 2013 il mondo dell’atletica leggera è in lutto: lo sprinter e velocista italiano Pietro Mennea ha perso la sua battaglia contro un tumore al pancreas.  

Pietro Mennea nacque nel 1952 a Barletta, in una famiglia modesta. Venne notato, mentre frequentava l’istituto tecnico, da un professore di educazione fisica, che gli consigliò l’atletica leggera. Fu una delle scelte più sagge della sua vita: dal 1970 conquistò molti titoli e medaglie di grande importanza, tra i quali ricordiamo i due ori nei 100 m e 200 m agli Europei di Praga ‘78. Ma a Mennea non basta questo. Lui mira all’oro olimpico. Era arrivato sulla terza piazza a Monaco ‘72, sui 200, da sempre sua specialità prediletta, ma a Mosca ‘80 l’occasione di aspirare alla gloria dell’oro Olimpico si ripresenta. 

Il destino però non è dalla sua parte: sfortuna vuole che pochi mesi prima, i sovietici invasero l’Afghanistan, provocando quindi un boicottaggio di tutte le nazioni alleate di quella invasa. Occorre anche tenere a mente che negli anni ‘80 si era agli sgoccioli della Guerra Fredda, un lungo periodo di tensione iniziato dopo la Seconda Guerra Mondiale nel quale Stati Uniti e U.R.S.S. cercarono di sabotarsi a vicenda. Ovviamente pure gli americani decisero di non partecipare alle Olimpiadi, chiedendo a tutti i loro principali alleati di fare la stessa cosa. Alcuni Paesi, come Francia, Inghilterra e Italia decisero di andarci, ma in modo informale, senza bandiera nazionale e inno. Singolare è l’episodio del ritiro dal mercato delle lattine di Coca Cola: il governo americano costrinse la multinazionale al ritiro di tutte le lattine speciali create per l’evento. 

In Italia, l’allora presidente del C.O.N.I., niente di meno che Primo Nebiolo, si trovò nel mezzo di una situazione complicatissima: ascoltare gli alleati americani e non partecipare alle Olimpiadi, oppure far partecipare il favorito della gara dei 200 metri, Pietro Mennea? Ci fu una vera e propria battaglia diplomatica in tutta Italia: il Parlamento si divise in pro e contro alla decisone della partecipazione della squadra italiana, così come tutti i Presidenti delle varie Federazioni Sportive. A spuntarla però fu proprio Nebiolo, che riuscì a far gareggiare Mennea senza nulla addosso che potesse ricondurre alla sua nazione. Partecipazione che si rivelò cruciale per la sua carriera da atleta. 

A Mosca, il 28 luglio 1980, sono le 20:15, un’ora avanti all’ora italiana. Mennea percorre i primi cento metri, uscendo dalla curva in ottava corsia, cosa che gli diede molto fastidio perché di solito agli atleti migliori sono riservate le corsie centrali, in settima posizione. Già prima di partire la sua faccia è contratta, forse per la concentrazione, per l’ansia o per la mancata finale nei 100 m, gara nella quale arriva solamente sesto in semifinale. Anche l’allenatore di Mennea, Carlo Vittori, ammette dopo in un’intervista: “Ho pensato che si stesse per mettere male”. Ma nell’ultimo rettilineo inizia la rimonta: inizia una progressione che, per soli tre centesimi, lo porta sul tetto del mondo. Appena arrivato al traguardo, alza le mani verso il cielo, incredulo. Quella che a lui e a tutti gli italiani che ebbero la possibilità di guardarlo era, agli inizi, sembrata una vittoria impossibile, per Mennea era la ciliegina sulla torta, la medaglia che completava il suo palmarès. 

Per il contributo che diede allo sport italiano fu insignito del titolo di “Cavaliere e Alto Ufficiale della Repubblica Italiana per Meriti Sportivi”. Lui, che tra i suoi meriti, ha soprattutto la grande capacità di aver creduto in una cosa nonostante gli dicessero che sarebbe stata impossibile. Ma adesso Pietro, anche se non sei più tra noi, diglielo che un oro olimpico non è impossibile. Almeno, non per te. 

Questa fu una delle vittorie più importanti per l’atletica italiana, lo spettacolare viaggio dell’atleta che più di tutti ha dimostrato che la vita non sia una questione di talento e basta, ma una montagna di rinunce e sacrifici che portano alla gloria che, nel caso di Mennea, si può definire eterna. 

Pietro Mennea morì 10 anni fa, il 21 marzo 2013 in una clinica di Roma, dopo aver combattuto contro il cancro al pancreas, uno dei tumori più aggressivi che possano colpire il nostro organismo. Nonostante ciò, il suo ricordo rimarrà per sempre nella mente di tutti gli sportivi, così come questa sua frase, che spesso raccontava: “Ogni tanto c’è qualcuno nel parco che mi chiede: e tu che fai? Vorrei avere abbastanza fiato per rispondere: ho già fatto. 5482 giorni di allenamento, 528 gare, un oro e due bronzi olimpici, più il resto che è tanto. A 60 anni non ho rimpianti. Rifarei tutto, anzi di più. E mi allenerei otto ore al giorno. La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni”. 

Detto questo, Ciao Pietro. Perché, ovunque tu sia, sappiamo tutti che stai ancora rivivendo quella fantastica finale a Mosca ‘80, finale che ha fatto sognare te, ma anche tutti noi. 

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