Intervista a Elena Vallortigara

Lunedì 3 aprile abbiamo avuto l’occasione di intervistare un’importante atleta italiana, Elena Vallortigara, grazie ad un incontro online organizzato dal professore Paolo Moisè, con l’iniziativa di SSD Rotolando Walk Run Jump and Throw Accademy.

Per quanto riguarda l’atleta, Vallortigara è un’altista italiana nata a Schio che, fin da giovanissima, ha ottenuto diversi risultati importanti nel salto in alto: ha iniziato a praticare atletica a otto anni e da cadetta, nel 2005, ha ottenuto il secondo posto a livello nazionale, guadagnandosi poi l’anno successivo il titolo di campionessa nazionale, stabilendo l’attuale record italiano cadette di 1,85m. Ai campionati italiani allieve 2007 vinse due medaglie, il bronzo indoor e l’oro all’aperto, e lo stesso anno si aggiudicò il bronzo ai Mondiali allievi di Ostrava. Nel 2008 vince il titolo italiano allieve indoor e partecipa inoltre a due manifestazioni internazionali juniores, vincendo la coppa di salto in alto a Rabat. Nel 2010 conquista la medaglia di bronzo ai Mondiali di Moncton ma nel 2018 c’è il vero picco delle sue prestazioni: infatti l’atleta alla Diamond League di Londra, oltre a portare a casa il secondo posto, stabilisce il suo primato personale di 2,02m, diventando la quarta donna italiana di sempre a superare i 2 metri.

Oltre ad informarci sui risultati di Elena Vallortigara abbiamo voluto scoprire qualcosa di più sul suo percorso:

Come sei riuscita a conciliare l’atletica e lo studio?

Per me conciliare lo studio e l’atletica non è mai stato troppo complicato: mi ritengo una persona abbastanza organizzata e questo ha giocato a mio favore. Mi è sembrato sempre di trovare il tempo per fare ogni cosa. I miei genitori mi hanno sicuramente istruita bene in questo senso e non ho mai avuto grandi difficoltà. Forse il periodo più complesso è stato quello delle superiori, l’anno della maturità, quando gli impegni sono diventati più “importanti” e anche l’approccio verso lo sport è cambiato. Studiare la considero comunque una cosa molto importante, una valvola di sfogo, soprattutto durante gli infortuni.

Come hai vissuto gli anni di transizione dalla categoria giovanile?

Dopo aver fatto il record italiano da cadetta sono andata a vedere chi aveva fatto le migliori prestazioni italiane e mi sono detta:” Non voglio che il mio nome rimanga scritto solo qua”. Non è stata una vera e propria promessa, sono sempre stata ambiziosa. Ho cavalcato l’onda del mio talento, ciò che mi hanno dato i miei genitori e le mie allenatrici. Quando mi sono infortunata ho affrontato un momento che sarebbe potuto essere il punto di non ritorno: è stato un recupero molto difficile, sia fisicamente che mentalmente.

In questo percorso credo che quello che ha collegato la mia attività giovanile e quella assoluta è stata proprio la mia motivazione di continuare a credere nelle mie capacità, di farle diventare ancora più reali, forti, concrete.

Secondo te la prestazione quanto è che cosa?

La prestazione è l’espressione di un individuo e perciò gli elementi che la compongono sono diversi per ognuno. La condizione fisica è sicuramente uno dei fattori più importanti, ma bisogna avere anche le energie nervose per affrontare una gara importante.

Oltre al periodo dell’infortunio, ci sono stati momenti difficili che ti hanno portata a pensare di lasciare l’atletica?

Il primo momento di “crisi” è stato poco dopo aver saltato 1,85m da cadetta. Ho sempre fatto fatica a far conciliare la mia parte di atleta e la mia parte di ragazza qualsiasi e per i miei risultati venivo spesso riconosciuta come “la Vallortigara che fa salto in alto” e non riuscivo ad accettare questa cosa. È stato molto difficile perché avevo molte attenzioni su di me.

Ho avuto anche un po’ di difficoltà ad accettare il rapporto che ho con il mio allenatore, ci è voluto molto per arrivare ad avere una relazione professionale. Io concepisco il mio sport proprio come un lavoro, io collaboro con persone che mi aiutano a raggiunge quell’obbiettivo, in primis con il mio allenatore, e con lui preferisco non condividere troppo della mia vita privata. All’inizio, quando ero più piccola, non era così e anche questa transizione non è stata molto semplice per me. Poi sono riuscita ad affrontare la cosa in maniera diversa.

Perché l’atletica e non la pallavolo o il basket?

Il basket non mi è mai piaciuto, mentre ho giocato un anno a pallavolo mentre facevo le medie. Ho praticato questo sport in simbiosi con l’atletica ma poi ho dovuto fare una scelta. Ho optato per ciò che pratico ora perché è uno sport individuale, perché non voglio far riferimento a qualcuno per saltare perché, nonostante ci siano tantissime persone che lavorano con me, che mi aiutano a raggiungere i miei obbiettivi, quando sono in pedana sono da sola.

Cosa si fa, a livello mentale, per prepararsi alle gare?

Io sono seguita dal 2018 da una psicologa sportiva e con lei sto facendo un lavoro per prepararmi alle gare, anche grazie a diverse tecniche, come il training autogeno, che mi serve sia nel momento della gara che durante la fase di preparazione, l’imagery, che mi aiuta ad accelerare il processo di miglioramento e ripresa, e altre.

Qual è stata la sfida più impegnativa che hai affrontato nella tua carriera?

Non saprei identificarne una, ma in generale sin da piccola ho avuto bisogno di tempo per trovare un equilibrio.

Rifaresti tutto quello che hai fatto?

Sì. Mi chiedo sempre se rifarei tutto ciò che ho passato e alla fine la mia risposta è sempre sì. Io so che ogni cosa che ho fatto ha un significato enorme. Se non avessi fatto tutto ciò non sarei la persona che sono adesso.

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